Mercati sotto pressione: i segnali da non ignorare

Il paradosso di questa settimana è che i mercati hanno reagito più al cambio di narrativa che ai numeri in sé. Il filo conduttore è chiaro: Stati Uniti in stagflazione “soft” (crescita che sfuma, prezzi ancora appiccicosi), Europa che respira ma resta fragile, Canada in

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L’Oro sta urlando, Wall Street fa finta di non sentire

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CPI USA: l’inflazione non è morta, sta cambiando volto !

L’inflazione, quando sembra dormire, è proprio il momento in cui bisogna guardarla meglio. Perché spesso non è sparita, si è solo spostata. E mentre i prezzi delle case cominciano finalmente a rallentare, altri costi stanno tornando a salire. Come le tariffe sulle importazioni. E sono loro, adesso, a riaccendere il fuoco sotto i prezzi. A colpire le famiglie, direttamente dove fa più male: nel portafoglio.

L’inflazione è morta. Viva l’Inflazione !

Pochi giorni fa, Trump aveva detto che “l’inflazione è morta”. Ma il giorno dopo è arrivato il nuovo dato del CPI, l’indice dei prezzi al consumo. E ha detto l’opposto. L’inflazione non solo non è finita, ma è viva e in crescita. È un colpo difficile da ignorare. Anche perché i dati parlano chiaro: il CPI è salito dello 0,3% a giugno, e il dato “core”, che esclude cibo ed energia, è aumentato dello 0,2%. A prima vista, nulla di preoccupante. Ma guardando l’intero anno, il quadro cambia. Il CPI è salito al 2,7%, in aumento rispetto al 2,4% di maggio. Il core CPI è al 2,9%. E se si guarda alla media degli ultimi tre mesi, l’inflazione sta risalendo più velocemente di quanto molti si aspettassero. Non è ancora un’emergenza, ma è abbastanza per mettere in allarme la Federal Reserve.

Ma da dove arriva questa nuova pressione sui prezzi? Tutti parlano dei dazi. C’è chi dice che non contano: i consumatori americani sono già al limite e, se i prezzi aumentano, smettono semplicemente di comprare. Quindi il peso ricade su chi vende. Ma altri dicono l’opposto: i dazi sono un costo in più per chi importa, e quel costo prima o poi viene scaricato sul consumatore. Magari a piccole dosi. Magari senza farsi notare subito. Ma succede.

Inflazione da tariffe

Ed è proprio questo che sta succedendo ora. I prezzi di alcuni beni iniziano a muoversi. Vestiti, mobili, tappeti: tutte cose spesso importate. L’abbigliamento è salito dello 0,4% a giugno, e i tessili per la casa del 4,2% in un solo mese. Un record. E gli affitti? Ancora alti: +3,8% rispetto a un anno fa. Anche il cibo è salito del 3%. Quindi no, i dazi non sono l’unico problema. Ma stanno spingendo l’inflazione nella direzione sbagliata.

Per anni, l’inflazione è stata guidata soprattutto dagli affitti e dai costi delle abitazioni. Ma adesso quella spinta si sta attenuando. I prezzi degli affitti crescono, ma molto meno rispetto al passato: un anno fa salivano dell’8%, oggi del 3,8%. Intanto però i beni importati tornano a pesare, e i costi dell’energia – sempre molto volatili – possono cambiare tutto in fretta. Basti pensare alla benzina, che a giugno è tornata a salire dopo mesi di cali: +1%. Un segnale piccolo, ma importante. Perché dimostra che il famoso “sconto carburante” non sta bilanciando gli aumenti dovuti ai dazi, come qualcuno sperava.

Anche il mercato delle auto sta cambiando. I prezzi dei veicoli nuovi sono scesi dello 0,3%. Quelli usati dello 0,7%. Ma attenzione: se i dazi si estendono anche ai pezzi di ricambio, questa tregua rischia di finire presto. E quando i costi saliranno di nuovo, lo faranno in fretta.

L’inflazione da tariffe è diversa da quella degli affitti. Qualcuno l’ha spiegata bene con una metafora: l’inflazione da tariffe è come una frattura, fa male subito. Quella da affitto è come l’artrite: logora piano. Oggi l’artrite sta rallentando, ma le fratture iniziano a moltiplicarsi. E questo cambia gli equilibri. Perché mentre la Casa Bianca chiede alla Fed di abbassare i tassi, la banca centrale aspetta. Vuole capire meglio. Ma il dato di giugno ha rotto la tendenza positiva degli ultimi mesi. E adesso la pressione aumenta. Trump spinge, i mercati si agitano.

Prima del report, le probabilità che la Fed non tagliasse i tassi a luglio erano al 95%. Dopo? Al 97%. A settembre? Prima era più probabile un taglio, ora le possibilità sono scese. È come tirare una monetina. Ma il messaggio è chiaro: per ora la Fed resta ferma. E nella prossima conferenza stampa, tutti ascolteranno una sola parola: “tariffe”.

Tutto si intreccia. Dazi, tassi, bond, inflazione, politica. È come una ragnatela. Tocchi un filo, e vibra tutto. E c’è una data che potrebbe cambiare le cose: 1° agosto. Quel giorno potrebbero scattare i dazi più pesanti. Quelli già annunciati, poi rinviati. Ma con Trump, nulla è sicuro. Potrebbe confermarli, o fermarsi. Cosa può bloccarlo? I mercati obbligazionari. Perché se i rendimenti dei Treasury superano il 5%, come è successo di recente, torna la paura. È già successo, proprio nei giorni della cosiddetta “Liberation Day”, quando il segretario al Tesoro chiese a Trump di rinviare i dazi. E Trump lo ascoltò. Potrebbe succedere di nuovo.

Nel frattempo, Trump cambia versione. Un mese fa diceva che l’inflazione era sparita. Oggi dice che c’è, ma è bassa. Così bassa che – secondo lui – la Fed dovrebbe tagliare i tassi di tre punti. Una richiesta enorme, che somiglia più a una mossa da recessione che da ripresa. Ma Powell non ha spazio. Se taglia, rischia di alimentare l’inflazione. Se non lo fa, l’economia potrebbe frenare ancora.

E i numeri? Anche loro vanno letti bene. Dicono che i salari reali sono cresciuti dello 0,7%. Ma è una mezza verità. Perché si confrontano con un’inflazione media che tiene conto anche di voci molto variabili, come l’energia. Ma le persone vivono di cibo e affitto. E lì, l’inflazione è più alta. Chi paga l’affitto o fa la spesa lo sente ogni giorno. I soldi bastano meno. E non è una sensazione. È un fatto.

Questa crisi, però, non è solo economica. È anche psicologica. Quando non riesci a far quadrare i conti, pensi sia colpa tua. Ti senti in difetto. Ma non sei tu il problema. È il sistema. E quando intorno a te tutti fingono che vada tutto bene, ti senti ancora più solo. Ma non lo sei. Non sei l’unico a faticare. Non sei l’unico a contare ogni euro. Non sei l’unico a sentire il peso di un’economia che si è inceppata. E più che mai, ora serve capire. Perché l’inflazione vera non è nei titoli. È nella tua vita quotidiana. E per vederla, basta aprire il portafoglio.

Per riassumere

I numeri sembrano rassicuranti. Ma lo sono davvero?

  • CPI headline (mensile): +0,3% (in linea con le attese)
  • Core CPI (mensile): +0,2% (sotto le attese)
  • CPI core (annuale): +2,9%
  • CPI headline (annuale): +2,7%, in salita dal 2,4% di maggio

Apparentemente, tutto sotto controllo. Eppure… l’inflazione core su base annualizzata negli ultimi 3 mesi è tornata al 2,4%, ben sopra l’1,7% dei mesi precedenti. Non è un’allerta rossa. Ma nemmeno un segnale di serenità.

La Fed è in trappola

  • Tagliare i tassi?
    Rischia di alimentare ulteriormente l’inflazione da dazio.
  • Non tagliarli?
    L’economia rischia di collassare, anche perché i consumatori stanno tagliando la spesa, riducendo l’uso delle carte di credito, e le banche sono più caute nel concedere credito.

📉 I dati lo mostrano: meno consumo → meno crescita → meno occupazione → meno inflazione… ma anche più fragilità sociale.

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MARCO CASARIO

Gli italiani sono tra i popoli più ignoranti in ambito finanziario.

Non per scelta ma perché nessuno lo ha mai insegnato. Il mio scopo è quello di educare ed informare le persone in ambito economico e finanziario. Perché se non ti preoccupi dell'economia e della finanza, loro si occuperanno di te.

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