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Dazi al 100% sui farmaci: l’ultimatum di Trump che può riscrivere le regole

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Era da tempo che i mercati si erano illusi di aver capito le nuove regole del gioco. Poi, all’improvviso, Trump ha rovesciato il tavolo: dazi al 100% sui farmaci brevettati importati negli Stati Uniti. Non una tassa simbolica, ma un vero raddoppio secco dei prezzi. Un colpo che può diventare mortale per interi giganti dell’industria farmaceutica europea e asiatica.
Eppure, come sempre nelle mosse dell’ex presidente, c’è la carota insieme al bastone: il dazio scompare se l’azienda dimostra di aver avviato un impianto di produzione in America. L’ultimatum è chiaro: o porti lavoro e investimenti negli Stati Uniti, oppure il tuo business qui è finito.

La tempesta sul pharma (e non solo)

Non si tratta di un annuncio isolato, ma del pezzo forte di una strategia che entrerà in vigore già dal primo ottobre e che non colpisce solo la sanità. Camion pesanti (+25%), mobili da cucina e bagno (+50%), divani e poltrone (+30%). Un’espansione rapida e brutale della guerra commerciale che porta la firma inconfondibile di Trump.
Le conseguenze sui mercati non si sono fatte attendere: in Europa i titoli di colossi come Novo Nordisk o AstraZeneca hanno subito crolli immediati, mentre dall’altra parte dell’Atlantico i produttori americani di camion hanno brindato. La lista dei farmaci toccati dal provvedimento è impressionante: dall’Ozempic per il diabete e la perdita di peso, al Mongiaro prodotto in Irlanda, fino alle terapie oncologiche di punta fabbricate tra Svizzera e Danimarca. Tutti rientrano nella nuova tassa del 100%.

Il messaggio della Casa Bianca

Questa mossa non nasce dal nulla. È resa possibile dal ricorso alla legge sulla sicurezza nazionale, che consente al presidente di imporre dazi senza passare dal Congresso. Ed è il segnale più forte che la globalizzazione che conoscevamo è finita. Trump sta usando la leva economica e politica per riscrivere le catene di approvvigionamento globali: semiconduttori, robotica, dispositivi medici sono già nel mirino.
Il rischio è evidente: alla fine del gioco il conto potrebbe ricadere non solo sulle multinazionali, ma anche sui cittadini, con prezzi più alti, meno posti di lavoro e crescita economica ridotta.

I mercati e l’operatività

Nel frattempo, i dati macro americani continuano a mostrare resilienza. Gli ordini di beni durevoli sono ai massimi da tre anni, il lavoro rallenta ma senza licenziamenti di massa, i consumi restano solidi. In Europa invece i segnali sono più fragili e la BCE resta in attesa dei prossimi dati sull’inflazione.
In questo quadro, il dollaro si è rafforzato rapidamente, spinto dai numeri americani. Ma attenzione: non è un trend destinato a durare, quanto piuttosto un rimbalzo dentro un movimento di medio termine che rimane debole.

Per questo nel mio portafoglio sto continuando a comprare le correzioni in America, mentre in Europa sto riducendo l’esposizione. Non perché abbia la pretesa di prevedere il futuro, ma perché i dati e la statistica mi dicono che oggi le probabilità favoriscono ancora l’economia americana.

La vera lezione di queste settimane è chiara: la guerra commerciale non è affatto finita, anzi si allarga a settori sempre più vitali. E noi investitori dobbiamo adattarci a un mondo dove i confini economici stanno tornando a essere muri.

Ne ho parlato in questo video:

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MARCO CASARIO

Gli italiani sono tra i popoli più ignoranti in ambito finanziario.

Non per scelta ma perché nessuno lo ha mai insegnato. Il mio scopo è quello di educare ed informare le persone in ambito economico e finanziario. Perché se non ti preoccupi dell'economia e della finanza, loro si occuperanno di te.

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