
Cosa Muoverà i Mercati: Dati Lavoro USA e Nuove Mosse della BCE
USA — Shutdown, lavoro “al buio”, dazi come leva Con il governo in shutdown, gli uffici statistici sono fermi: niente payrolls ufficiali, niente jobless claims, pubblicazioni chiave a rischio (trade balance, inventari). Nei dati “surrogati” ADP segnala –32mila posti a settembre, mentre nei payroll di

Le Banche Centrali Hanno Perso il Controllo dell’Economia?
Quando la medicina non funziona più Per decenni il taglio dei tassi è stato l’antibiotico standard delle banche centrali: rendere il denaro più economico per spingere famiglie e imprese a chiedere prestiti, comprare case, investire. Meno risparmio, più spesa, più crescita: questa è la catena

Dazi al 100% sui farmaci: l’ultimatum di Trump che può riscrivere le regole
Era da tempo che i mercati si erano illusi di aver capito le nuove regole del gioco. Poi, all’improvviso, Trump ha rovesciato il tavolo: dazi al 100% sui farmaci brevettati importati negli Stati Uniti. Non una tassa simbolica, ma un vero raddoppio secco dei prezzi.

Investire meglio del 99%: la mappa mentale che ti manca
Per anni ci hanno raccontato una storia rassicurante: un viaggio lineare verso la ricchezza, con un rendimento medio dell’8–10% l’anno, come una retta che sale dolcemente. Una promessa comoda, che funziona perché è ciò che tutti vogliono sentirsi dire. Ma la verità è diversa: i

Oltre il taglio: i segnali che Powell ci ha lasciato
Il FOMC ha consegnato il taglio più atteso dell’anno, ma il vero messaggio non è nei 25 punti base, bensì nelle parole di Powell e nelle proiezioni interne. Per la prima volta la Fed ammette che il rischio lavoro ha superato, almeno per ora, quello

Arriva il taglio, ma Powell ammette la crepa nel mercato del lavoro
Cosa è successo La Federal Reserve ha tagliato i tassi di interesse di 25 punti base, portandoli al 4%-4,25%. Una decisione scontata dai mercati, ma che nasconde un cambio di prospettiva importante. Powell, durante la conferenza stampa, ha ammesso apertamente che il mercato del lavoro
Il Costo del Denaro che CONTROLLA i Mercati
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a un’ondata di confusione su un tema che, invece, è molto più semplice di quanto sembri: il rapporto diretto tra liquidità e mercati finanziari. Mentre alcuni continuano a negare che esista un legame tra il costo del denaro e l’andamento degli asset di rischio, la realtà è che tutto ruota attorno a un meccanismo preciso: quanto costa procurarsi un dollaro da usare domani mattina. Negli Stati Uniti questo prezzo si muove all’interno di un “corridoio” creato dalla Federal Reserve, con un pavimento e un soffitto che delimitano il range. Nel mezzo c’è il SOFR, il tasso reale a cui le istituzioni si scambiano liquidità overnight. Quando il SOFR resta tranquillo, il sistema scorre. Quando il SOFR sale troppo, il segnale è inequivocabile: i dollari stanno iniziando a scarseggiare e la tensione si trasferisce su tutto il mercato.

Prima di continuare colgo l’occasione per invitarti al Quant Ai Bootcamp (GRATIS): Dopo mesi di test, il 17, 19 e 20 (3 webinar gratuiti) Novembre ti mostreremo live come usare l’Intelligenza Artificiale per creare e testare strategie quantitative da zero, senza programmare. 100% pratico: CLICCA QUI PER RISERVARE SUBITO IL TUO POSTO.
1. Perché il SOFR fa muovere (o crollare) i mercati
Per gli hedge fund il SOFR è come il prezzo della benzina per un’auto da corsa. Se costa poco, si corre: prendono denaro quasi gratis, lo usano in leva e caricano posizioni su Nasdaq, Nvidia, Bitcoin. Se invece il costo esplode nel giro di poche ore, il sistema si inceppa. Le banche diventano diffidenti, chiedono indietro i prestiti, e i fondi sono costretti a vendere per recuperare liquidità. Non serve un evento catastrofico: basta un irrigidimento improvviso del mercato dei prestiti a breve termine. È esattamente ciò che abbiamo visto quando il Tesoro USA ha drenato liquidità accumulando cassa nel TGA, facendo scendere la liquidità netta sotto la “soglia di dolore”. Da lì lo spread tra SOFR e Fed Funds è saltato e le candele rosse sui grafici non erano “panico”, ma una conseguenza matematica: se il costo del denaro sale di colpo, qualcuno è obbligato a vendere.
2. Politica, dazi e promesse che aumentano la volatilità
A rendere ancora più complesso il quadro ci sono le tensioni politiche. La promessa di finanziare assegni da 2.000 dollari tramite i dazi sembra allettante, ma è completamente scollegata dai numeri reali: gli USA incassano circa 380 miliardi l’anno dalle tariffe, mentre il deficit supera i 1.800 miliardi. Se la Corte Suprema dovesse limitarli, quella cifra potrebbe dimezzarsi. Nel frattempo la Fed taglia i tassi, prepara un nuovo corso sulla liquidità e si ritrova a navigare in un ambiente in cui politica fiscale, tensioni legali e stress del mercato monetario si sovrappongono. Non è un contesto da “crollo imminente”, ma è certamente un contesto da accelerazione della volatilità. E quando volatilità e liquidità si intrecciano, i mercati diventano una sequenza di movimenti rapidi, improvvisi, spesso controintuitivi.
3. Perché il processo conta più del rumore
Nonostante il rumore mediatico, i dati continuano a raccontare una storia opposta a quella del panico. Ogni volta che lo spread tra SOFR e Fed Funds rientra sotto la soglia critica, gli asset di rischio hanno storicamente reagito con forza nei 30–45 giorni successivi. È successo più volte, e sta succedendo anche ora. Per questo, mentre alcuni investitori chiudevano posizioni prese dal timore, un processo quantitativo porta a fare l’opposto: selezionare, ribilanciare, accumulare nei punti di vantaggio statistico più elevato. La volatilità non è un nemico: è il prezzo da pagare per costruire performance future. Se la reflazione americana prenderà forma e la liquidità tornerà a crescere, assisteremo a un ritorno di forza delle materie prime e a una graduale debolezza del dollaro. Il punto è semplice: i ribassi di oggi potrebbero essere ricordati come le opportunità di domani.
Ne ho parlato in modo più approfondito in questo video qui: