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Ottenere dei crediti in denaro in cambio di progetti che tutelino la biodiversità. E’ la novità prevista dall’accordo Kunming-Montreal, approvato durante la Cop15 sulla biodiversità tenutasi a Montreal lo scorso dicembre.
“L’idea è la stessa del mercato dei crediti di carbonio, ma il driver di mercato è la biodiversità”, spiega Frederic Hache, cofondatore del think tank Green Finance Observatory. Hache ha messo in guardia dal nascente mercato. “I Paesi ricchi, invece di frenare il loro impatto distruttivo sull’ambiente, pretendono di compensare altrove, preferibilmente nei Paesi più poveri dove la terra è a buon mercato, mettendo in atto qualche piccola azione come il ripristino degli habitat per una particolare specie o pianta”, ha dichiarato Hache.
L’accordo Kunming-Montreal ha lasciato insoddisfatti i Paesi africani. Pur essendo il primo accordo globale per garantire la stabilità dei servizi ecosistemici, Stati come la Repubblica Democratica del Congo hanno cercato di bloccarlo, spingendo per la creazione di un fondo legato alla biodiversità. Il presidente del Camerun ha definito l’accordo una vera e propria frode.
Nel report “The Economics of Biodiversity: The Dasgupta Review“, si legge che considerare la natura come una classe di beni, aiuterà a migliorare la conservazione della biodiversità in quanto la natura produce beni e servizi essenziali, chiamati anche servizi ecosistemici, la cui perdita è un problema da gestire in termini di asset finanziari. “L’uso dei crediti di biodiversità può ridurre i tempi di ripristino degli habitat o delle specie e può consentire di ottimizzare la connettività degli habitat, concentrando la mitigazione in grandi aree”, si legge all’interno del rapporto.
Come funzionano i crediti di biodiversità?
L’idea alla base dei crediti di biodiversità è quella di attribuire un valore monetario ai lavori che comportano:
- la protezione dagli eventi climatici estremi;
- il sequestro della CO2;
- la purificazione dell’aria e dell’acqua;
- la conservazione di flora e fauna;
- altri vantaggi per l’ecosistema.
I progetti che mirano alla conservazione o al ripristino di questi servizi possono generare crediti per la biodiversità che possono essere acquistati da enti o imprese interessate a compensare o ridurre il loro impatto ambientale. Da una parte ci sono gli enti che emettono crediti di biodiversità e dall’altra le aziende che li potranno ottenere.
Ogni credito viene venduto una sola volta e i prezzi variano in base alle specifiche di ciascun progetto. I crediti di biodiversità sono basati sulla performance e vengono immessi sul mercato solo quando hanno raggiunto obiettivi di performance e di gestione verificabili.
Non sono concorrenti dei crediti di carbonio ma sono stati concepiti per lavorarvi a fianco per consentire ai finanziamenti di raggiungere anche i più piccoli progetti di mitigazione del cambiamento climatico e per proteggere gli ecosistemi minacciati.
I crediti di biodiversità possono essere creati prima di essere utilizzati e possono essere conservati senza limiti di tempo, fino a quando non vengono assegnati a un progetto.
Il governo inglese prevede anche la creazione di banche di habitat per la realizzazione di siti più grandi e strategici per la natura. Il cosiddetto “accatastamento” avviene quando più crediti o unità di diversi mercati della natura vengono venduti separatamente partendo dalla stessa attività su un terreno.
Il pioniere del mercato dei crediti di biodiversità
Uno dei principali promotori di questo nuovo mercato è il Regno Unito, che lancerà un prototipo a novembre 2023. A febbraio, il governo ha pubblicato il Biodiversity Net Gain (BNG) inserito nell’Environment Act del 2021.
Il BNG si basa sull’applicazione della gerarchia di mitigazione, un approccio sistematico per affrontare l’impatto ambientale e la sua potenziale compensazione. L’approccio cerca prima di evitare gli impatti, poi di minimizzarli e quindi di adottare misure in loco per riabilitare e ripristinare la biodiversità.
Proprio come nel mercato dei crediti di carbonio, le compensazioni della biodiversità dovrebbero essere prese in considerazione solo per gli impatti residui. Nell’attuazione delle compensazioni l’obiettivo minimo dovrebbe essere l’assenza di perdita netta.
La regola del 110%
Secondo la nuova legge in vigore da novembre, tutti i nuovi progetti di sviluppo sul territorio che richiederanno un permesso di pianificazione dovranno seguire la regola del 110%: garantire di compensare il 100% dell’impatto e di aumentare il valore della biodiversità del sito di almeno il 10%. La regola richiede che ogni habitat colpito sia sostituito da un altro secondo il principio “like for like” o “like for better”.
Come ci spiega Frederic Hache i due principi funzionano in questo modo: “like for like, come quando costruisci un aeroporto nel Sud della Spagna, distruggi un intero habitat di fenicotteri e poi devi ripristinarlo nell’arco di 10 chilometri”; like for better, puoi compensare scegliendo un posto qualsiasi, e non necessariamente un habitat di fenicotteri ma un servizio ecosistemico di valore monetario equivalente.”
Poiché i principi del BNG non specificano che il valore aggiunto sul territorio debba essere allocato nello stesso sito geografico, gli sviluppatori potranno scegliere altri luoghi. Il sito di sviluppo potrebbe non essere il luogo adatto per implementare la biodiversità, il che significa che gli sviluppatori dovranno fare affidamento su una modifica dei progetti o su schemi di mitigazione fuori dal sito basati su crediti comprati altrove, anche dal governo stesso.
Dunque, se da un lato viene reso obbligatorio compensare la biodiversità, dall’altro si consente di farlo al di fuori dell’habitat che si va a distruggere. C’è quindi il rischio che vengano scelti luoghi e progetti sbagliati, errori per cui il mercato dei crediti di carbonio è associato a violazioni di diritti umani e competizione di risorse.
Anche altre nazioni stanno valutando l’approccio inglese. Sembra dunque che il mercato dei crediti di biodiversità verrà implementato su larga scala. Tuttavia, richiederà una normativa solida per evitare che i danni possano essere legittimati.