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Le accuse di Trump e la richiesta di tagliare i tassi
Donald Trump non ha mai avuto un rapporto facile con Jerome Powell. Durante il suo primo mandato lo nominò alla guida della Fed, ma dopo pochi mesi cominciò a criticarlo per la sua linea troppo prudente. Oggi, tornato alla ribalta politica, Trump è tornato ad attaccarlo con toni ancora più duri.
Secondo il presidente, la Fed dovrebbe abbassare i tassi d’interesse senza aspettare oltre. Trump sostiene che l’inflazione ormai sia sotto controllo e che i costi in calo dell’energia e dei beni alimentari giustifichino un taglio dei tassi immediato. Powell, invece, preferisce mantenere un approccio cauto. La banca centrale teme che un taglio prematuro possa far ripartire l’inflazione proprio nel momento in cui sembra rallentare.
La divergenza tra queste due visioni si è trasformata in uno scontro personale. In un recente post, Trump ha definito Powell un “major loser” e non vede l’ora di cacciarlo.
La legge non è chiara e il precedente non esiste
Il punto centrale della vicenda è giuridico. Trump può davvero licenziare Powell? La risposta non è semplice. Il Federal Reserve Act stabilisce che i membri del Board of Governors (tra cui il presidente della Fed) possono essere rimossi solo “per giusta causa”. Di solito questo significa gravi comportamenti illeciti, non semplici divergenze politiche o differenze di strategia monetaria.
Powell è stato nominato presidente per un mandato di quattro anni, ma mantiene anche il ruolo di governatore fino al 2028. Se anche venisse rimosso come presidente, potrebbe comunque restare nel board, continuando a esercitare influenza sulle decisioni della Fed.
Il problema è che nessun presidente ha mai provato a licenziare un governatore della banca centrale. Non esiste un precedente legale e qualsiasi tentativo aprirebbe un conflitto istituzionale che potrebbe finire davanti alla Corte Suprema.
Powell non ha intenzione di dimettersi
Powell, dal canto suo, ha dichiarato in più occasioni di ritenere illegale la sua eventuale rimozione. Pur non avendo detto esplicitamente che farebbe causa, molti osservatori ritengono probabile una sua azione legale in caso di attacco diretto. Con il suo background da avvocato e la sua solida posizione economica, Powell avrebbe sia le competenze sia le risorse per sostenere una battaglia legale fino ai massimi livelli.
Inoltre, il presidente della Fed gode di un ampio sostegno all’interno dell’istituzione. Anche tra i governatori nominati da Trump non tutti sembrano disposti ad allinearsi con le sue richieste. Sia Christopher Waller che Michelle Bowman, per esempio, hanno ribadito in più occasioni l’importanza dell’indipendenza della banca centrale.
Il ruolo del FOMC e gli altri equilibri
C’è poi un altro elemento da considerare. Powell non è solo presidente della Fed e membro del board. È anche a capo del Federal Open Market Committee (FOMC), il comitato che decide l’orientamento dei tassi d’interesse. Il presidente della Fed è normalmente scelto come capo del comitato, ma in teoria il FOMC potrebbe eleggere un altro membro al suo posto, anche senza una sua rimozione formale. Anche qui, le implicazioni sono significative. Una Fed presieduta da un altro governatore potrebbe diventare più malleabile, soprattutto se Trump riuscisse a influenzare le nomine future.
L’opzione più radicale
Se Trump volesse davvero forzare la mano, potrebbe tentare la rimozione completa di Powell anche come governatore. Sarebbe una mossa estrema, senza precedenti, che gli permetterebbe però di nominare due figure nuove: un nuovo governatore e un nuovo presidente. Questo cambierebbe radicalmente gli equilibri della Fed, aprendo la strada a una linea monetaria più vicina alla volontà politica. Ma anche in questo caso, la strada legale sarebbe estremamente incerta. La rimozione di un governatore per motivi politici violerebbe lo spirito stesso della legge che tutela l’autonomia della banca centrale.
Kevin Warsh come sostituto
Tra i nomi citati come possibile rimpiazzo per Powell, spunta quello di Kevin Warsh, ex governatore della Fed e figura vicina al mondo repubblicano. Secondo il Wall Street Journal, Trump avrebbe parlato con lui per valutare un eventuale subentro. Ma Warsh stesso, a quanto pare, avrebbe sconsigliato la rimozione, temendo le conseguenze istituzionali ed economiche di un’azione così drastica.
Anche altri consiglieri economici di Trump si starebbero muovendo con cautela. La questione è sotto esame all’interno dell’amministrazione, ma le incertezze legali restano enormi. Il rischio di provocare uno shock nei mercati è tutt’altro che trascurabile.
Le reazioni dei mercati e il vero nodo in gioco
I mercati hanno già iniziato a reagire. Dopo gli attacchi verbali di Trump, gli indici azionari hanno perso terreno. L’S&P 500 è sceso di oltre il 2% in un solo giorno. Gli investitori temono che la Fed finisca sotto il controllo diretto della politica.
L’indipendenza della Fed è da decenni una garanzia di stabilità. Ha permesso all’istituzione di intervenire sull’economia senza pressioni esterne, mantenendo l’equilibrio tra crescita e controllo dell’inflazione. Se questo pilastro dovesse crollare, le conseguenze sarebbero gravi per l’intero sistema finanziario globale.
Una posta in gioco che va oltre Powell
Questa non è soltanto una questione personale tra Trump e Powell. È uno scontro tra due visioni opposte: da una parte, una banca centrale autonoma che risponde ai dati economici; dall’altra, una banca centrale trasformata in strumento politico. Se il confine tra politica monetaria e potere esecutivo dovesse saltare, non sarebbe più solo Powell a essere in discussione. Sarebbe il ruolo stesso della Fed a cambiare per sempre.
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