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Stagflazione USA: Come Può Reagire la Fed ai Dazi di Trump?
Il ritorno dei dazi annunciato da Trump riaccende lo spettro della stagflazione: crescita ferma e prezzi in salita. Ma come può intervenire la Federal Reserve in uno scenario così complicato?
Con il ritorno sulla scena politica di Donald Trump e le sue nuove politiche commerciali a colpi di dazi, sono cresciuti i timori che l’economia statunitense possa avviarsi verso un fenomeno tanto raro quanto insidioso: la stagflazione. Un termine che sa di anni ’70, ma che torna prepotente nel dibattito economico del 2025.
Cos’è la stagflazione?
La stagflazione è una situazione in cui si verifica una combinazione tossica: l’economia non cresce (o addirittura si contrae), ma i prezzi continuano a salire. Non c’è lavoro e tutto costa di più. Uno scenario che mette in crisi qualunque politica economica.
La Federal Reserve, la banca centrale americana, ha un doppio mandato: mantenere l’inflazione sotto controllo e garantire un livello di occupazione elevato. Ma se le due cose vanno in direzioni opposte, come si fa?
Gli strumenti (limitati) della Fed
La Fed ha in mano uno strumento principale: il tasso dei fed funds, ovvero il tasso di interesse a brevissimo termine che influenza tutti gli altri tassi nell’economia, dai mutui ai prestiti aziendali.
- Quando l’inflazione è alta, la Fed alza i tassi per rallentare la spesa e riportare l’equilibrio tra domanda e offerta.
- Quando invece la disoccupazione aumenta, la Fed taglia i tassi per stimolare prestiti, investimenti e consumi.
Il problema è che non si possono fare entrambe le cose contemporaneamente. Se aumenti i tassi per combattere l’inflazione, peggiori la disoccupazione. Se li tagli per stimolare l’economia, rischi di far salire ancora di più i prezzi.
Il nodo dei dazi
Il motivo per cui si torna a parlare di stagflazione è l’annuncio, a marzo 2025, di nuovi dazi commerciali da parte di Trump contro Cina, Canada e Messico. Misure protezionistiche che hanno un effetto immediato: fanno aumentare i prezzi dei beni importati, alimentando l’inflazione. Ma allo stesso tempo riducono gli scambi commerciali, penalizzando la crescita economica. Si crea in pratica la condizione perfetta per prezzi più alti e meno opportunità di lavoro.
Powell: “Situazione molto complicata”
Durante la conferenza stampa del 19 marzo 2025, il presidente della Fed Jerome Powell ha ammesso apertamente la complessità del momento.
“È una situazione molto sfidante per qualsiasi banca centrale. I nostri strumenti agiscono in una sola direzione alla volta”.
Powell ha spiegato che, in caso di stagflazione, la Fed dovrà valutare quale dei due obiettivi – inflazione o occupazione – è più lontano dal target, e decidere di conseguenza.
Priorità all’inflazione?
Secondo Kathy Jones, strategist di Schwab, in uno scenario di stagflazione la Fed potrebbe decidere di mantenere una politica restrittiva, ovvero tassi alti, anche se la disoccupazione peggiora. Questo perché storicamente quando la disoccupazione sale, l’inflazione tende a scendere da sola, quindi si può aspettare di stimolare l’economia più avanti.
Questo è quello che fece Paul Volcker nei primi anni ’80, quando la stagflazione era ai massimi. Alzò i tassi fino a livelli record, mandando l’economia in recessione, ma riuscì a stroncare l’inflazione a doppia cifra. Una mossa dolorosa ma efficace.
Oppure all’economia?
Non è detto che la Fed segua lo stesso copione. In caso di forte aumento della disoccupazione, potrebbe decidere di guardare oltre l’inflazione e tagliare i tassi, con la speranza che la pressione sui prezzi cali da sola. Una scommessa rischiosa, soprattutto se i dazi continuano ad aumentare i costi.
Qui entra in gioco un altro elemento: la tempistica. La politica monetaria ha effetti con ritardi lunghi e variabili. Se i dazi vengono annunciati e poi modificati in continuazione, come fa Trump, è difficile per la Fed reagire in modo tempestivo ed efficace.
Esempio pratico: tassi vs mutui
Mettiamo che un americano voglia comprare casa. Se la Fed alza i tassi per combattere l’inflazione, il tasso dei mutui sale, e potrebbe non permettersi più l’acquisto. Se invece la Fed li abbassa per stimolare l’occupazione, i mutui diventano più accessibili… ma magari la spesa al supermercato continua a salire ogni mese. Questo conflitto tra “risparmiare sull’acquisto” e “vedere aumentare i prezzi” è proprio ciò che rende la stagflazione un incubo per famiglie e imprese.
Il “Misery Index”: quanto fa male la stagflazione?
Negli anni ’70, per misurare quanto la gente soffriva economicamente, venne inventato il Misery Index, che somma tasso di disoccupazione e inflazione.
Negli anni di Volcker, superava il 20%. Oggi siamo lontani da quei livelli: a fine 2025, la Fed prevede un’inflazione del 2,8% e un tasso di disoccupazione al 4,4%. Niente di drammatico, ma comunque peggiore rispetto alle previsioni di fine 2024, quando si pensava che l’inflazione sarebbe scesa stabilmente sotto il 2,5%.

Questo peggioramento è dovuto ancora una volta ai dazi. Prima annunciati, poi rimandati, poi riapplicati. Una incertezza continua che rende difficile anche solo fare previsioni.
Cosa possiamo aspettarci?
Per ora, la Fed ha deciso di lasciare i tassi fermi, in attesa di capire se sarà l’inflazione o la disoccupazione a diventare il problema più urgente. Una scelta prudente, vista l’imprevedibilità dello scenario. Ma se i dazi resteranno in vigore o aumenteranno, è probabile che i prezzi continuino a salire, costringendo la Fed a tornare in modalità “falco” – ovvero con la priorità all’inflazione.
In sintesi
- La stagflazione è una sfida enorme per la Fed, perché richiede politiche opposte.
- Le nuove tariffe di Trump rischiano di creare proprio questo scenario: prezzi in salita e crescita in frenata.
- Per ora la Fed prende tempo, ma presto dovrà decidere quale dolore affrontare per primo: quello dei prezzi o quello del lavoro.
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