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Cosa fa muovere i mercati? Sintesi Macro – Settimana 18

La volatilità e i grandi swing continuano a fare da padroni sui mercati finanziari. Il giorno della Fed ha scatenato grandi movimenti, che si sono però completamente annullati il giorno successivo. A seguito dei commenti di Powell riguardo all’aumento di 75 punti base, il mercato azionario ha messo in scena un rally epico, con l’S&P 500 che ha guadagnato il 3%. Il giorno dopo però, l’indice ha perso il 3,6%. Tutte e due le performance giornaliere si sono andate ad inserire nelle code della distribuzione.
L’indice adesso si trova a più del 14% dai suoi massimi storici e ha chiuso in negativo per la quinta settimana consecutiva. La candela settimanale ha chiuso al di sotto del minimo della settimana precedente, stabilendo così un nuovo minimo ciclico.
Il Nasdaq è ormai in un bear market, trovandosi a più del 24% dai suoi massimi storici. Anche le small-cap del Russell e il Dow Jones Industrial hanno fatto nuovi minimi ciclici nella settimana appena conclusa.
L’indice della volatilità VIX è stato molto caotico. La discesa di inizio settimana, che ha accelerato con la conferenza stampa di Powell, è stata in gran parte recuperata nei giorni successivi. L’indice ha chiuso al di sopra dei 30, una soglia che solitamente indica nervosismo sui mercati e che adesso è diventata la norma.
Le parole di Powell sono state tutt’altro che dovish. Nonostante non stia prendendo in considerazione un aumento di 75 punti base, la Fed ha iniziato quello che si prospetta essere il ciclo di inasprimento più aggressivo dall’era Greenspan.
Gli swap legati alle riunioni della Fed stanno ora scontando meno di 150 punti base di ulteriori aumenti dei tassi entro settembre. Ciò suggerisce dubbi sulla possibilità di altri tre aumenti di 50 punti base a ciascuna riunione.
La banca centrale statunitense consentirà inoltre alle sue partecipazioni in Treasury e titoli garantiti da ipoteca di diminuire a partire da giugno a un ritmo mensile iniziale di $ 47,5 miliardi, aumentando in tre mesi a $ 95 miliardi.
La forza del dollaro
Il dollaro americano è sceso durante il discorso di Powell che ha seguito la decisione sulla politica monetaria. Esattamente come è successo per gli indici azionari, l’intero movimento è stato recuperato il giorno dopo. Il dollaro infatti si è portato di nuovo verso il suo massimo a 20 anni. La sua traiettoria sembra inarrestabile, con il prezzo che non compie un vero e proprio ritracciamento da marzo.
Complessivamente, il dollaro sta guadagnando nei confronti della maggior parte delle valute dei paesi sviluppati e in via di sviluppo.
Il tasso di cambio EUR/USD ha appena rotto una flag di continuazione del trend ribassista. La maggior parte dei trader pensa che l’euro sia ormai destinato a raggiungere la parità con il dollaro, visti i rischi di stagflazione a cui l’economia europea è esposta.
Una formazione simile si è creata anche su GBP/USD. La rottura della flag è avvenuta però in maniera molto più decisa.
La Bank of England, dopo aver alzato il suo tasso chiave di un quarto di punto all’1%, ha emesso le prospettive più cupe di qualsiasi altra banca centrale quest’anno, avvertendo il Regno Unito di prepararsi a un’inflazione a due cifre e ad un prolungato periodo di stagnazione o addirittura di recessione.
Rendimenti obbligazionari
Nella settimana appena conclusa, la situazione sul mercato obbligazionario si è ribaltata. I rendimenti di lungo termine sono infatti saliti più di quelli a breve termine. I rendimenti a 1 e 2 anni sono addirittura diminuiti.
Il risultato è stato l’irripidimento della curva. E’ importante notare però che alcuni segmenti della curva dei rendimenti rimangono invertiti.
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