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La prossima recessione: profondità e durata
Ogni recessione ha le sue particolarità. Gli economisti vedono sempre più probabile che la prossima recessione arriverà entro la fine dell’anno prossimo negli Stati Uniti. Alcuni di loro pensano che potrebbe essere lunga ma di bassa intensità. In altre parole, si aspettano che qualsiasi calo dell’attività economica sia molto meno profondo delle flessioni osservate negli anni ’80, quando l’inflazione era ai livelli odierni.
Sebbene la prossima recessione possa essere moderata, potrebbe durare più a lungo. Questo perché l’inflazione elevata potrebbe limitare le manovre stimolative della Fed. La scorsa settimana Powell è stato molto chiaro quando ha sottolineato che il ritorno dell’inflazione all’obiettivo del 2% ha la priorità sulla crescita economica.
In ogni caso, la prossima recessione sarà comunque dolorosa. Prendendo in considerazione le recessioni dal dopoguerra ad oggi, l’economia si è contratta mediamente del 2,5% mentre la durata media è stata di 10 mesi. Gli utili delle imprese sono diminuiti di circa il 15% e la disoccupazione è aumentata di circa 3,8 punti percentuali.
Che aspetto potrebbe assumere la prossima recessione?
La crescita degli earnings delle aziende è legata alla crescita economica. Storicamente, gli aumenti dei tassi hanno portato in poco tempo a una recessione degli utili, definita come un periodo di almeno due trimestri consecutivi in cui gli earnings sono al di sotto del livello dell’anno precedente.
Le aziende al momento sono schiacciate dai costi di produzione e del lavoro, che stanno compromettendo la loro redditività. A tutto ciò le aziende risponderanno tagliando il personale e i costi, ove possibile. La prossima recessione potrebbe quindi vedere centinaia di migliaia di americani perdere il lavoro. La recessione degli utili potrebbe inoltre portare ad un ulteriore declino del mercato azionario.
L’economia sta già rallentando
La spesa personale reale è scesa a maggio per la prima volta quest’anno. Il maggiore contributo al PIL degli Stati Uniti lo da proprio la spesa dei consumatori.
I segnali di debolezza economica non si limitano a questa misura. L’indice PMI manifatturiero statunitense ha toccato il minimo in due anni a giugno.
La Fed di Atlanta stima che l’economica degli Stati Uniti in Q2 si sia contratta del 2,1%. Questa lettura seguirebbe una contrazione del 1,6% in Q1, portando quindi il paese in una recessione tecnica.
Anche il mercato obbligazionario ha iniziato a scontare una certa debolezza dell’economia. Secondo gli indici swap overnight e i future dell’eurodollars, la Fed sarà costretta a tagliare i tassi già a partire dal primo trimestre del 2023.
Tutto dipenderà da che livello avrà raggiunto l’inflazione e da quanto la Fed si sentirà confidente sulla sua credibilità nel raggiungere la stabilità dei prezzi. Oggi, la misura di inflazione preferita della Fed è più del triplo del target.
Perché la prossima recessione potrebbe essere più moderata?
L’inflazione di oggi non è così radicata nell’economia e nella psiche degli americani come lo era all’epoca di Paul Volcker. Quindi non ci vorrà una disinflazione così grande come quella a cui Volcker ha dovuto sottoporre l’economia prima di raggiungere livelli più accettabili di inflazione.
Inoltre, i consumatori, le banche e il mercato immobiliare sono tutti in una posizione migliore per resistere alla recessione di quanto non fossero prima della grande crisi finanziaria del 2007-2009. Il settore privato non è così indebitato come lo era un tempo e le famiglie siedono su depositi record.
Le banche commerciali statunitensi hanno da poco superato l’ultimo stress test della Fed, dimostrando di avere i mezzi per resistere a una flessione economica diffusa.
Anche la posizione del mercato immobiliare è migliore rispetto alla crisi dei subprime. In quel periodo, il mercato era inondato dall’offerta a causa del boom speculativo. Oggi invece gli Stati Uniti sono circa 2 milioni di unità abitative al di sotto di ciò che il profilo demografico suggerirebbe.
Per quanto riguarda il mercato del lavoro, è probabile che una carenza di lavoratori, grazie anche ai baby boomers che vanno in pensione, renda le aziende più caute con i licenziamenti rispetto alle recessioni precedenti.
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